Segnali Morse
Entra in libreria un cliente, un signore sui sessantacinque anni, con barba brizzolata, vestito un po’ da montanaro, già visto altre volte.
Un po’ farfugliando, mi chiede se abbiamo qualche testo sul linguaggio Morse, in realtà mi spiega che ha già chiesto al mio collega, ma sembra che non ci sia nulla.
Io confermo che si tratta di un argomento ormai un po’ abbandonato, ma aggiungo che è un peccato, perché – come ho letto da qualche parte, ora non ricordo esattamente dove – in caso di black out informatico, satellitare, ecc., il sistema dei segnali Morse resta l’unico in grado di garantire le telecomunicazioni. I segnali morse si possono inviare anche dal deserto o dal Polo Nord, mentre il telefonino satellitare potrebbe non funzionare a causa di un «oscuramento» del satellite, magari in caso di conflitto militare.
Il signore assentiva al mio dire, con gli occhi attenti e partecipi.
Ha aggiunto che esiste anche un linguaggio «Q», mediante il quale è possibile comunicare anche con i Cinesi e i Giapponesi. E spiega: – Mi diverto così, passo le notti così, adesso che mia moglie è morta, almeno trovo qualcuno con cui entrare in contatto. Però devo conoscere meglio, per questo sono venuto in libreria.
Questo signore solo, che farfuglia quando parla, invia durante la notte segnali Morse in giro per il mondo, sperando che qualcuno – non sua moglie – possa captarli e replicare.
Mentre tutto il mondo chatta, telefona, invia SMS, lui, magari in cantina, solo tra pochi, ultimo sopravvissuto di una civiltà estinta, invia segnali Morse, tu-tu, tuu, tu-tuuutu, e sarà forse l’unico a inviare l’ultimo segnale mentre le città del mondo bruceranno, e tutti i sistemi saranno per sempre fuori uso.

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